Una volta ero in Calabria a fare una di quelle vacanze di quando c’hai ventanni e ti metti da parte i ricordi per quando ne avrai sessanta, e insomma finì che dormimmo in spiaggia. Quando mi svegliai mi avevano rubato tutto, cioè il piccolo zaino sul quale ero convinto di stare dormendo. Mi ritrovai a bestemmiare, di buon mattino, pensando che qualcuno aveva in qualche modo trovato redditizio un costume da bagno, delle mutande, un portafogli con una trentina di euro e con una serie di documenti, e una moleskine.
Per il costume e le mutande poveri loro, per i soldi povero me, i documenti li fecero ritrovare - galantuomini che non sono altro - e poi c’era la moleskine. E io fino ad oggi, tutte le volte che c’ho pensato, ho bestemmiato ancora e sempre contro di loro. Quel taccuino, oltre a contenere i vari ricordi di quella vacanza - che adesso quando avrò sessantanni che faccio - custodiva nella tasca interna una vecchia foto in bianco e nero. E in quella foto era ritratta una ragazza sorridente, seduta nel bagagliaio di una Mini Clubman, quelle Mini fighissime che dietro si aprivano tipo furgoncino. Una foto che avrebbe avuto tutte le caratteristiche per essere la migliore foto hipster del millennio, se non fosse che a quel tempo gli hipster non esistevano e il mondo era semplicemente conosciuto come “la fine degli anni settanta”, e se non fosse, soprattutto, che quella ragazza era mia madre (e se a mia madre oggi gli dici hipster lei ti porta una pizza rustica. Così, per sicurezza).
Mi sono sempre chiesto che diavolo gli costava a quei gentiluomini riconsegnare anche il taccuino. Di sicuro lo avranno aperto, per vedere se c’erano soldi, e magari avranno visto pure la foto. E che ci fai con una foto del genere? Mi hai ridato il bancomat, signore che sei, ridammi anche la foto. È importante, è mia madre, per ma ha un significato, è un documento della sua e della mia vita. E che significato può avere mai per te, buonuomo, che non hai nemmeno idea di chi diavolo sia quel sorriso che stai guardando?
Poi è successo che ero a Palermo, l’altro giorno, a passare uno di quei periodi di quando c’hai trentanni e ti metti da parte i ricordi per quando… vabbè, a qualcosa dovranno pur servire prima o poi.
Scendo di casa e proprio di fronte al portone del mio palazzo trovo questa foto, piegata a metà, e basta. La raccolgo, la osservo, e mi guardo intorno. Non so se per il timore di essere stato visto da qualcuno, colpevole di aver preso qualcosa di non mio, oppure se alla ricerca della ragazza della foto, a cui magari era appena caduta, come per restituirgliela.
In entrambi i casi quel mio guardarmi intorno non ebbe riscontro. Le cose a Palermo cadono in continuazione, senza che ci si faccia poi caso. Si cammina su strade di cose cadute, e intanto si continua a guardare sempre il cielo, aspettando quello che di nuovo arriva.
Prendo la foto e me la metto in tasca, per avere la libertà di dimenticarmela. Che è facile perdere senza dimenticare, ma è molto più difficile il contrario. Così, con leggerezza, mi affido alla convinzione che sarebbe risaltata fuori, e infatti succede, oggi. Sullo stesso marciapiede, oltre ad una foto che ritrae venti uomini in posa, perfettamente vestiti da loro stessi, trovo un attestato di licenza elementare di quasi cent’anni fa. L’attestato, firmato dal podestà del tempo, qualunque cosa dichiari, afferma in qualche modo l’infanzia di una ragazza di nome Teresa, a Palermo.
E così, tornato a casa, vado a riprendere la foto di quella ragazzina con gli orecchini d’oro e mi immagino che magari è lei Teresa, che sorride educata a quel Regno d’Italia che l’ha istruita e formata. Quel Regno d’Italia che da parte sua non sorride quasi mai, intento com’è a prendersi sul serio, e che sembra essere tutto quanto nel ritratto di quei venti uomini tutti insieme su un piccolo terrazzo, seri in uno qualunque dei giorni di festa, che in una galleria di arte contemporanea lo intitolerebbero “benessere su sfondo povero”.
Magari uno di loro è il padre di Teresa, penso, e finisce mi metto a fare tutti i confronti sulle fisionomie e mentre sono lì mi accorgo che sto cercando di costruire una storia che non esiste. Una storia nata su un marciapiede. Cerco di mettere insieme elementi che non si erano mai incontrati prima. Io Teresa non la conosco, come non conosco nessuno di quei venti uomini, né tantomeno la ragazzina con gli orecchini d’oro, che ovviamente non è detto sia Teresa. Eppure mi ci sono buttato a capofitto, senza pensarci… perché tutta quell’urgenza, che fretta c’era? Sarà probabilmente il bisogno di dare una forma a qualcosa che pur essendo autentica non contiene nessuna verità. Sarà la voglia di immaginarsela quella verità, quell’improbabilità, finendo forse per trasformare quelle foto in tutto, meno che in un documento. Sono pungoli, incoraggiamenti a rilanciare sul buio, con la consapevolezza che di fantasia non si perde quasi mai.
Non credo che perdonerò mai davvero quei nobiluomini che si presero la mia roba, ma adesso mi piace immaginare che magari uno di loro, vedendo la foto di quella ragazza seduta nel bagagliaio di una Mini Clubman, avrà pensato che potesse essere la destinataria di una lettera d’amore trovata stropicciata in un portafogli la notte prima, oppure la proprietaria di un ciondolo di coralli rossi “rinvenuto” l’altra settimana. E forse, come io ingenuamente cerco di ricostruire storie invisibili attorno a cose cadute su un marciapiede, lui faceva lo stesso con gli oggetti di quella spiaggia. Oppure era soltanto un ladro cretino e basta.
In ogni caso, se qualcuno rivedendo questa foto riconoscesse Teresa - o chiunque sia - si faccia vivo che gliela rendo. Perché i ricordi immaginati sono bellissimi, ma alla fine quelli veri di più.
8 commenti :
A me Bloggaccino piace.
.-)
io vorrei vedere la foto dei venti uomini in posa !!!
i link per vedere le foto c'erano già... evidentemente non erano così chiari, perdonatemi. ora dovrebbe andare meglio... :)
ma hanno tutti i baffi!!! :)
e la calvizie è un'invenzione contemporanea.
l'ha inventata la Micidial Corporation!
I ricordi veri impreziosiscono la vita.Conservali.
Guagliò, mi hai fatto commuovere!
un documento sul documento. dopotutto sono figlio di un ufficio sempre e comunque.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=618924014801810&set=a.618924011468477.1073741825.142598549101028&type=1&comment_id=1980277&offset=0&total_comments=1
Posta un commento