Se n’era accorto che stava diventando grande. E non solo perché ormai la gente lo fermava per strada a dirgli che si era fatto un giovanotto, che ormai era lui l’uomo di casa, che doveva badare a sua madre e che era tempo di mettere la testa a posto. Se n’era accorto soprattutto perché non gli andava di fare niente. Non più e non ancora. Non gli andava più di giocare sulla spiaggia come i picciriddi e non gli andava ancora di andare a lavorare in mare come i pescatori, come era suo padre.
Gli piaceva tutto il resto, tutto quello che sta in mezzo, tra le onde a riva e le reti delle barche a largo. E come glielo spieghi alla gente per strada che quello che sta lì in mezzo non è vuoto, non è tempo perso. Come glielo spieghi che in mezzo al mare si perde di tutto, ma mai tempo. Così non diceva niente a nessuno, ma lo sapeva che la testa ce l’aveva già a posto lì dov’era. E spesso era sott’acqua.
Nuotava sempre Cola, nuotava al mattino e alla sera, nuotava con le sarde e con i delfini, tra le alghe e in mezzo alle correnti, e conosceva più mare che terraferma.
Nuotava sempre Cola, nuotava al mattino e alla sera, nuotava con le sarde e con i delfini, tra le alghe e in mezzo alle correnti, e conosceva più mare che terraferma.
Ogni sera tornava a casa in silenzio.
- Tutto il giorno a mare! A nuotare dietro alle sirene! E io qui a patire la paura che il mare ti si prende pure a te! Torni muto e pure a mani vuote, che tuo padre almeno du pisci li portava… Bravo stai muto, che così addivenni nu pisci pure tu. E poi vero arriva il giorno che il mare ti si piglia.
Così urlava la madre di Cola, tutte le sere, che ormai nemmeno lei sapeva perché, sempre uguale, sempre al vento. Finchè una volta il vento stette a sentire.
Una mattina Cola se ne andò da quella casa e decise che non sarebbe più tornato, così che la madre si sarebbe potuta disperare per un figlio perso, piuttosto che per uno in casa.
Crescere era sicuramente una bella cosa, lui c’era in mezzo e gli piaceva anche molto, solo che poi alla fine uno diventa cresciuto e smette. E ogni volta che si smette di fare una cosa bella è sempre un peccato. E poi a quel punto ci sono pure le responsabilità e il tuo posto e i tuoi compiti, e visto che la vita si trasforma in un barile di necessità, il mare diventa soltanto un secchio di soluzioni. E forse perciò sembra che le storie di tutta quella gente di terraferma che vive di mare debbano essere sempre un poco tristi, perchè alla fine quelle sono vite che trovano il senso da qualche altra parte, non a mare. E il mare finisce ad essere solo un luogo che si usa, si scava, si naviga, si conosce, si attraversa ma non si vive mai. Perchè nel frattempo si vive in terraferma, pensava.
E Colapesce non è che voleva vivere a metà e, visto che il mare era il posto dove passava la maggior parte delle sue giornate, decise di andarci a abitare.
Le stagioni cambiavano e non c’erano onde che lo stancassero. Nessuno a terraferma lo rivide più e i pochi che riuscivano ad avvistarlo erano i marinai e i pescatori che, quando possibile, si fermavano anche a domandargli consiglio. La lingua della gente di mare è la stessa in ogni porto, e così pescherecci e bastimenti portarono la storia di Colapesce su ogni costa, come il vento ci porta il sale.
Quando arrivò in Sicilia con la sua nave, anche il Re fu raggiunto dalla voce di quel ragazzo che nuotava sempre e non parlava mai. E perciò, essendo uomo di grande cultura e amore per il mondo, e essendo in quei giorni soprattutto annoiato, ordinò di portare Colapesce al suo cospetto.
Dopo giorni di ricerche nei mari di tutta la Sicilia finalmente un pescatore lo trovò:
- Colapesce! Colapesce!
- Che c’è?
- C’è il Re! Ti vuole incontrare! Subito! Al porto!
- Io a terraferma non ci voglio andare.
- Il re è sulla sua nave, non ci devi tornare a terra… lo incontri sulla nave! Amunì!
Sulla nave il Re lo aspettava seduto al centro del ponte che, da quando la nave era ormeggiata, era stato coperto di tappeti, così che Sua Maestà non calpestasse ciò che di solito calpestavano i piedi del mozzo. Colapesce salì a bordo coperto di sale e di acqua e fu portato davanti al Re che il mare ancora gli scendeva da ogni parte e sembrava non smettere mai.
- Colapesce! Mi dicono che tu vivi il mondo del mare come io quello della terra… - disse il re.
- No, vossignoria, io non posso dire di essere il re di niente. Il mare non è mio.
- Ma si dice che passi il tuo tempo col capo sott’acqua, che nuoti con le ninfee e le oceanine, che non temi le onde e le burrasche, che scompari per giorni senza che nessuno ti veda riemergere.
- Nuotare mi prìa.
- Allora nuoterai per Sua Maestà. Nuoterai tutt’intorno alla Sicilia scendendo dove il mare è più profondo e al tuo ritorno riferirai del tuo viaggio a me che ne voglio conoscere.
Colapesce volle ubbidire - se quella di ubbidire può essere davvero una scelta - perché pensò che non aveva mai raccontato il mare a nessuno, che tutti dicevano di conoscerlo già, e se ad ascoltare voleva essere proprio il re forse un motivo c’era.
Dopo qualche tempo Colapesce tornò sulla nave, salì a bordo grondando ancora più acqua della prima volta e disse al sovrano del suo viaggio. Disse delle enormi valli e delle montagne che si estendevano sott’acqua come fossero state sotto il cielo, disse degli animali incredibili che aveva visto sul fondo, disse delle acque freddissime e sempre più blu, delle balene, dei relitti e delle tre colonne.
- Quali tre colonne?
- Maestà, la Sicilia s’appoggia in capo a tre colonne, che vanno giù profonde fino a dove nemmeno la luce scende più.
- Allora tu andrai lì a vedere dove arrivano queste colonne, più a fondo di sempre, e tornerai a riferirmene.
- Ma Sua Maestà capirà bene che è molto pericoloso scendere così a fondo, dove anche i raggi del sole arrivano stanchi.
Ma il Re era il Re, e non esisteva replica ai suoi ordini. Così i marinai lo presero, che ancora spandeva acqua su tutta la tappezzeria, e lo ributtarono da dove era venuto.
Colapesce fu di ritorno dopo molti giorni, tanto che si iniziò a pensare fossero troppi, ma tornò. Molti dei marinai urlarono e risero e applaudirono quando lo videro salire a bordo, ansiosi di ascoltare le sue parole, tanto da non sembrare quelli che lo avevano gettato fuori bordo per ordini a cui non si risponde.
Arrivò davanti al Re completamente coperto di mare, che continuava a scendergli addosso senza fine e senza fine inondava il ponte.
- Maestà, a lungo nuotai per il fondo di quei mari che sembrano non averne. Ma sotto Capofaro non scesi. In un momento era tutto fumo e calore e la colonna su cui poggia Messina sembra tutto un fuoco di vulcano.
Il Re stette in silenzio prima di parlare. Un silenzio che era sicuramente pieno di qualcosa, ma nessuno avrebbe saputo dire se a riempirlo fossero i suoi pensieri, oppure solo il desiderio di far attendere le sue parole, di appesantirle.
- Il mio amore per questa terra e per la conoscenza mi tormenta. - silenzio.
- Essere uomini di cultura è un peso, è una condanna! - silenzio.
- Io devo sapere Colapesce, non posso fermarmi qui. E quindi tu tornerai dove non sei stato per raccontarmi dell’origine di quel fuoco! Capisci no?
Colapesce non capiva, ma non se ne preoccupava più di tanto e restava in silenzio per non turbare ancora di più l'animo sensibile del Re.
- Tu non ti arrendi né alle correnti né alle maree Colapesce! Nuoti e ti immergi senza paura di venire inghiottito. Eppure il mare non si sente mai sfidato da te… - silenzio.
- Maestà, la paura del mare ce l’ha chi lo naviga. Quelli che, vuoti, lo spingono in basso per galleggiarci sopra. Chi invece ci vuole nuotare a fondo, di mare dev’essere pieno.
E così, senza smettere mai di sgocciolare, salì sul parapetto e si rituffò a capofitto in acqua. I marinai si sporsero subito, ma riuscirono a vedere solo un pò di schiuma sull’acqua. Le onde se la portarono via subito, cancellando ogni memoria di quel tuffo. Intorno tutto dondolava piano e in silenzio.
Dopo quel tuffo Colapesce non riemerse mai più. Una volta sceso nel punto più profondo sotto il mare di Messina si accorse che il fuoco arrivava dal vulcano Mungibeddu e che la Sicilia stava crollando su quella colonna persa e disfatta.
E lui, che non si era preso mai una responsabilità, decise di prendersene solo una, solo quella lì, per non voler tutte le altre.
Così ancora oggi la colonna che regge la Sicilia sotto Messina è tenuta in piedi dalle spalle di un ragazzo che tutti vedevano già uomo, ma che pur di non diventarlo mai scelse, alla fine, di essere pesce.
3 commenti :
della leggenda di colapesce ci sono varie versioni. io ne ho lette un pò, tra cui di molto belle, tipo trascrizioni di racconti orali che poi erano tutti diversi. e ovviamente non mi ricordo molto, o forse mi ricordo troppo e quindi mischio tutto. ecco, un pò chiedo scusa a chi la sapeva diversa. un pò no.
bellissima questa versione :-) pur non conoscendone altre !! *_*
Anche io conosco una versione leggermente diversa, ma e' sempre una storia bellissima :)
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