che poi non è vero che spengo la luce perchè sono le tre di pomeriggio e la stanza è pure luminosa però ho sempre pensato che iniziare qualcosa con questa frase sarebbe stato figo perchè è una frase che chiude e allora faccio finta di fare lo scrittore alternativo che inizia i racconti con le chiusure.
insomma, spengo la luce ed esco.
saluto peter che fa di cognome shevchenko e lavora all'ostello, mi carico lo zaino e vado a prendere un pullman lontano che mi porterà all'aeroporto. attraverso una parte di sofia che piano piano si fa centro e si aggiusta, ma che quando parto non ci sono nemmeno i marciapiedi e penso che sembra un posto che non si è mai ripreso dalla guerra. e poi penso ma quale guerra.
dopo dieci giorni di sole e mal di gola quel pomeriggio inizia a piovere e io sto meglio e arrivo ad un incrocio dopo aleksander nevski dove mi sa che devo girare a sinistra e allora giro e vado dritto verso l'università. poi piove più forte e chiedo ad un ragazzo dove si prende il 284 per l'aeroporto. glielo chiedo in inglese e cerco di intuire dagli occhi se mi sta veramente capendo. non capisce del tutto ciò che cerco di comunicargli. perchè, come scopro poi, è di madrelingua inglese. dice seguimi che ti ci porto io e intanto si avvia e io lo seguo e intanto penso che è un quarto d'ora che cammino e forse era meglio che prendevo il taxi che è vero che costa 10 lev ma in fondo piove e la storia dell'ultima passeggiata per sofia forse è una cazzata e a quest'ora stavo già all'aeroporto.
alla fermata del bus ci sono più o meno tremila persone e il mio bus arriva quasi subito, si ferma 20 metri più in là e io cerco di raggiungere subito l'entrata davanti perchè così compro il biglietto dall'autista. perchè peter mi ha detto il biglietto lo fai dall'autista, 1 lev. sul bus non sale nessuno a parte me, solo un uomo con un cappotto nero e una donna.
l'autista bulgaro non parla inglese, non lo capisce e non lo vuole capire. credo sia incazzato per il fatto che in bulgaria piove e c'è traffico e lui è un autista bulgaro. fatto sta che ticket è una parola semplice da capire, in fondo è un autista, però dice no. niente biglietti. e subito dopo mi prende per un braccio e mi sposta verso l'interno del bus facendomi segno che gli copro la visuale dallo specchietto destro.
vabbè. mi avvio a prendere posto in fondo al bus. poso lo zaino e faccio per sedermi quando l'uomo col cappotto nero salito con me si avvicina e mi chiede il biglietto mostrandomi il suo distintivo da controllore bulgaro.
io gli spiego che tredici secondi prima ho tentato di comprarne uno dall'autista. glielo spiego in inglese, naturalmente, e lo guardo negli occhi supplicandolo di capire qualcosa. non capisce una mazza. capisce solo che sono un turista che non ha il biglietto e questo gli basta. a gesti gli faccio capire che voglio comprarlo e lui, accondiscendente, tira fuori un fantastico biglietto da 10 lev che poi sarebbe la multa.
a questo punto scatta in me l'orgoglio italiano e meridionale che mi impedisce di essere collaborativo e pagare 5 euro in silenzio, portandomi a discorsi inglesi, italiani, tedeschi, gestuali infiniti sia a bordo che a terra sul fatto che non ho 10 lev, che ho tentato di comprare il biglietto appena salito, che siamo saliti insieme cazzarola, cioè tu, un'altra tizia che è una tua collega e io con uno zaino rosso gigante. mi hai visto per forza.
tutto inutile, la collega sta chiamando la polizia e mi dice in bulgaro che io l'aereo non lo prendo. le minacce si capiscono pure in bulgaro. prendo il mio orgoglio e lo infilo nella stessa tasca dalla quale estraggo dieci lev.
a questo punto siamo amici. ho pagato, mi danno il biglietto che strappano e mi fanno capire che con il prossimo bus posso arrivare all'aeroporto senza porblemi. visto che siamo amici cerco di capire quando ci sarà il prossimo bus. è una lotta contro i mulini a vento. dopo cinque minuti di glottologia, il tizio prende il mio biglietto e ci scrive dietro l'informazione definitiva: 284. ma sei scemo? l'ora ti ho chiesto! non il numero del bus! quando? when? time! time, cazzo! è una parola che sanno tutti nel mondo! time! prendo il cellulare e gli faccio vedere l'ora. time?! allora la donna ha una rivelazione e scrive sempre sullo stesso biglietto la data e l'orario attuali. sono esausto. vabbè me ne vado, quando arriva arriva. grazie lo stesso. è stato un piacere. mortaccivostra.
dieci minuti dopo salgo finalmente sul secondo bus. per sicurezza voglio timbrare il biglietto che non si sa mai. la macchinetta non funziona. allora una signora con la faccia piaciona vicino ad una seconda macchinetta mi vede in difficoltà e mi fa segno di darle il biglietto. appena lo riceve vede che è strappato e la sua faccia piaciona si inizia a scurire. io ho paura. lei inizia a leggere cosa c'è dietro e io intravedo appeso al suo collo lo stesso distintivo di prima. scuote la testa e dice che non è più valido. è strappato e c'è scritto la scadenza sopra. inizio a pensare a come si possa dire in bulgaro codice penale.
il bus è quasi vuoto, i vetri sono appannati e un signore a fianco a me farfuglia qualcosa alla controllora che strappa il biglietto in un altro punto e mi sorride ritornando alla faccia di prima.
non voglio sapere niente. che è successo non lo so. mi siedo e mi faccio i fatti miei, passo la mano sul vetro in modo da guardare fuori i palazzoni alti che sembra proprio di stare in un paese dell'est.
saluto peter che fa di cognome shevchenko e lavora all'ostello, mi carico lo zaino e vado a prendere un pullman lontano che mi porterà all'aeroporto. attraverso una parte di sofia che piano piano si fa centro e si aggiusta, ma che quando parto non ci sono nemmeno i marciapiedi e penso che sembra un posto che non si è mai ripreso dalla guerra. e poi penso ma quale guerra.
dopo dieci giorni di sole e mal di gola quel pomeriggio inizia a piovere e io sto meglio e arrivo ad un incrocio dopo aleksander nevski dove mi sa che devo girare a sinistra e allora giro e vado dritto verso l'università. poi piove più forte e chiedo ad un ragazzo dove si prende il 284 per l'aeroporto. glielo chiedo in inglese e cerco di intuire dagli occhi se mi sta veramente capendo. non capisce del tutto ciò che cerco di comunicargli. perchè, come scopro poi, è di madrelingua inglese. dice seguimi che ti ci porto io e intanto si avvia e io lo seguo e intanto penso che è un quarto d'ora che cammino e forse era meglio che prendevo il taxi che è vero che costa 10 lev ma in fondo piove e la storia dell'ultima passeggiata per sofia forse è una cazzata e a quest'ora stavo già all'aeroporto.
alla fermata del bus ci sono più o meno tremila persone e il mio bus arriva quasi subito, si ferma 20 metri più in là e io cerco di raggiungere subito l'entrata davanti perchè così compro il biglietto dall'autista. perchè peter mi ha detto il biglietto lo fai dall'autista, 1 lev. sul bus non sale nessuno a parte me, solo un uomo con un cappotto nero e una donna.
l'autista bulgaro non parla inglese, non lo capisce e non lo vuole capire. credo sia incazzato per il fatto che in bulgaria piove e c'è traffico e lui è un autista bulgaro. fatto sta che ticket è una parola semplice da capire, in fondo è un autista, però dice no. niente biglietti. e subito dopo mi prende per un braccio e mi sposta verso l'interno del bus facendomi segno che gli copro la visuale dallo specchietto destro.
vabbè. mi avvio a prendere posto in fondo al bus. poso lo zaino e faccio per sedermi quando l'uomo col cappotto nero salito con me si avvicina e mi chiede il biglietto mostrandomi il suo distintivo da controllore bulgaro.
io gli spiego che tredici secondi prima ho tentato di comprarne uno dall'autista. glielo spiego in inglese, naturalmente, e lo guardo negli occhi supplicandolo di capire qualcosa. non capisce una mazza. capisce solo che sono un turista che non ha il biglietto e questo gli basta. a gesti gli faccio capire che voglio comprarlo e lui, accondiscendente, tira fuori un fantastico biglietto da 10 lev che poi sarebbe la multa.
a questo punto scatta in me l'orgoglio italiano e meridionale che mi impedisce di essere collaborativo e pagare 5 euro in silenzio, portandomi a discorsi inglesi, italiani, tedeschi, gestuali infiniti sia a bordo che a terra sul fatto che non ho 10 lev, che ho tentato di comprare il biglietto appena salito, che siamo saliti insieme cazzarola, cioè tu, un'altra tizia che è una tua collega e io con uno zaino rosso gigante. mi hai visto per forza.
tutto inutile, la collega sta chiamando la polizia e mi dice in bulgaro che io l'aereo non lo prendo. le minacce si capiscono pure in bulgaro. prendo il mio orgoglio e lo infilo nella stessa tasca dalla quale estraggo dieci lev.
a questo punto siamo amici. ho pagato, mi danno il biglietto che strappano e mi fanno capire che con il prossimo bus posso arrivare all'aeroporto senza porblemi. visto che siamo amici cerco di capire quando ci sarà il prossimo bus. è una lotta contro i mulini a vento. dopo cinque minuti di glottologia, il tizio prende il mio biglietto e ci scrive dietro l'informazione definitiva: 284. ma sei scemo? l'ora ti ho chiesto! non il numero del bus! quando? when? time! time, cazzo! è una parola che sanno tutti nel mondo! time! prendo il cellulare e gli faccio vedere l'ora. time?! allora la donna ha una rivelazione e scrive sempre sullo stesso biglietto la data e l'orario attuali. sono esausto. vabbè me ne vado, quando arriva arriva. grazie lo stesso. è stato un piacere. mortaccivostra.
dieci minuti dopo salgo finalmente sul secondo bus. per sicurezza voglio timbrare il biglietto che non si sa mai. la macchinetta non funziona. allora una signora con la faccia piaciona vicino ad una seconda macchinetta mi vede in difficoltà e mi fa segno di darle il biglietto. appena lo riceve vede che è strappato e la sua faccia piaciona si inizia a scurire. io ho paura. lei inizia a leggere cosa c'è dietro e io intravedo appeso al suo collo lo stesso distintivo di prima. scuote la testa e dice che non è più valido. è strappato e c'è scritto la scadenza sopra. inizio a pensare a come si possa dire in bulgaro codice penale.
il bus è quasi vuoto, i vetri sono appannati e un signore a fianco a me farfuglia qualcosa alla controllora che strappa il biglietto in un altro punto e mi sorride ritornando alla faccia di prima.
non voglio sapere niente. che è successo non lo so. mi siedo e mi faccio i fatti miei, passo la mano sul vetro in modo da guardare fuori i palazzoni alti che sembra proprio di stare in un paese dell'est.
6 commenti :
paese dell'est, paese dell'est... se eri di tubinga e per qualche motivo ti trovavi sul 5 a benevento, pensi che sarebbe andata diversamente? cioè forse un poco sì... probabilmente invece di piovere c'era la nebbia e quasi sicuramente il controllore col cavolo che lo trovavi! però il resto...
è che ti manca un po di allenamento?ce l'avevi il biglietto arcobaleno unico forever?!
robbè...ma che mi fai sentire?ti sei fatto beccare dal controllare....sei al vergogna di tutti i campani!!!però io ti voglio bene lo stesso!!
mi sento umiliato nel profondo. almeno voi amici statemi vicino...
cmq che maghi della truffa questi controllori
stavo leggendo un pò di cose dal tuo blog (in realtà ero rimasta un pò dietro) e quando ho letto questa di sofia non riuscivo a contenermi dalle risate.... mentre i colleghi mi guardavano un pò straniti!!!!
grande boc
Posta un commento